Dove c’è freddo c’è la grinta di Omar di Felice in bicicletta

Dove c’è freddo c’è la grinta di Omar di Felice in bicicletta






Dai ghiacci del Canada all’Himalaya passando dalla COP26, per Omar Di Felice la bicicletta è avventura ma anche impegno

Per tanti appassionati di ciclismo, l’inverno è soprattutto un periodo di transizione. Almeno un paio di mesi durante i quali aspettare il ritorno di un clima più favorevole per uscire in bicicletta, o nella migliore delle ipotesi organizzarsi a dovere per non soffrire il freddo più del necessario. Ce n’è uno però, per il quale le basse temperature si trasformano in uno stimolo, tanto più grande quanto sono estreme. È probabilmente questo a spingere intorno a Omar Di Felice un pubblico di ammiratori forse meno numeroso di quello dei grandi campioni, ma decisamente più fedele e ammirato per imprese sempre diverse ma tutte con un il freddo come elemento comune.

La possibilità di scambiare qualche battuta in occasione dei recenti Garmin Beat Yesterday si trasforma così facilmente nella voglia di scoprirne di più, con un pizzico di sana invidia per la capacità di riuscire a spingersi oltre e vivere emozioni uniche, là dove la maggior parte si ferma senza troppi rimpianti.

Non credo esista una definizione per il tuo approccio al ciclismo e alla vita in generale. Come lo definiresti?

Mi sento prima di tutto comunque un ciclista estremo, e poi un esploratore. Inoltre, mi piace anche divulgare i temi legati alla bicicletta, a partire da ambiente e mobilità. Questioni peraltro molto attuali.

Sembra il sogno di tanti, ma come ci si guadagna da vivere?

Bisogna prima di tutto sviluppareprogetti legati alle avventure, proporli alle aziende nel modo giusto e con tanta pazienza. Devono essere progetti credibili e al tempo stesso particolari. Inoltre, ci sono anche le gare di ciclismo estremo, dove in caso di vittoria ci sono comunque dei guadagni.

Dove è iniziata l’avventura vera e propria?

Nel 1994, guardando le imprese di Marco Pantani è nata la vera passione per il ciclismo. Ho iniziato come tanti ragazzi, seguendo la trafila delle giovanili. Sono anche arrivato tra i professionisti, ma presto mi sono accorto che non era il mio terreno. Avevo poca confidenza con tabelle e cose del genere e soprattutto mi piacevano le lunghe distanze. Nel frattempo, mi ero anche laureato in design. Ho iniziato a lavorare in questo mondo come grafico, mentre continuavo a pedalare solo per passione. In questo periodo è nata la passione per l’ultracycling e per i viaggi. Ci sono voluti dieci anni, ma alla fine da passatempo sono riuscito a trasformarla in professione.

Quando è sbocciato l’amore per il freddo e il ghiaccio?

È stata una sorta di visione. Mi piace la bicicletta e mi piace la montagna. Così, ho voluto provare e unire queste passioni e la situazione mi ha subito conquistato. Appena ho portato una bicicletta gravel sul ghiaccio è scatto subito qualcosa.

Foto: 65Stili

Cosa significa guidare sul ghiaccio, per tanti ciclisti una sorta di incubo?

Non è certo facile perché la bicicletta per definizione è un veicolo in equilibrio e instabile. Anche le gomme chiodate aiutano, ma non sono sufficienti. Serve tanta pratica, sviluppare una tecnica particolare. Poi, c’era anche la questione abbigliamento, quello da alpinismo per l’alta quota non è adatto alla bicicletta. Tanti problemi insomma, ma anche altrettante sfide. Affrontati uno per volta, studiando le soluzioni disponibili, alla fine sono riuscito a trovare la mia dimensione. Oggi mi piace pensare al ghiaccio e freddo come un mio marchio di fabbrica.

Come ti ha supportato nel corso degli anni l’evoluzione tecnologica della bicicletta?

Tantissimo. Nella prima avventura a Capo Nord usavo freni tradizionali. Oggi invece, con i freni a disco è tutta un’altra cosa,  significa soprattutto maggior sicurezza. In ogni caso, non bisogna farsi fermare da un limite come questo, pensiamo solo alle imprese dell’epoca di Coppi e con quali biciclette le facevano. La tecnologia è un aiuto certamente, ma non deve essere indispensabile.

Negli ultimi anni è cresciuto anche l’apporto dell’elettronica. Com’è il tuo rapporto?

Sicuramente utile. Mi ha dato due cose più di ogni altra. La prima è la sicurezza, perché con i dispositivi Garmin anche in mezzo al Deserto dei Globi o lungo le autostrade del Canada o in Himalaya dove non può esserci il collegamento cellulare posso contare sul GPS per mandare un SOS o solo rassicurare chi mi segue da casa.

L’altro aspetto a cui accennavi?

Sicuramente, l’la possibilità di registrare tutte le attività. Personalmente, mi piace perché sono anche una sorta di nerd ed è bello rivedere le tracce e pianificare la prossima avventura, ma più concretamente è utile per testimoniare le mie imprese, comunicare e condividere.

La tua attività è contrassegnata anche da solitudine e imprevisti, come affronti i momenti difficili?

Foto: Different Media Production

Sicuramente non mancano, ma prima di tutto bisogna considerarli situazioni estemporanee. Subito dopo, iniziare a guardarsi intorno e rendersi conto di come in realtà stia facendo ciò che amo, quanto ho sognato per una vita e questo aiuta anche a trovare una soluzione. Le difficoltà fanno parte del cammino e non sono ostacoli. Contribuiscono all’avventura e alla crescita personale.

Hai visto posti bellissimi, ti viene mai la voglia di fermarti per gustarli meglio?

Durante gli ultimi anni ho cercato anche un certo equilibrio, dove cerco comunque la prestazione ma non ho paura di fermarmi per guardami intorno. Certo, durante le gare di endurance non si può fare, ma durante le mie imprese personali, un’ora in più non cambia certo le cose. Catturare qualcosa di ciò che mi circonda aiuta anche ad aumentare la motivazione. Poi, mi piace raccontare le mie avventure con foto e video e prendermi tutto il tempo di farli.

Tra le imprese più recenti, il viaggio a Glasgow in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la COP26, per te è stata una scelta diversa dal solito. Cosa ti ha spinto?

Da sempre sono abituato a portare la bicicletta ovunque e credo debba entrare ovunque, anche nelle grandi città. Arrivare in bicicletta a Glasgow è stato prima di tutto un atto simbolico, un messaggio importante da trasmettere. Credo non si possa parlare di ambiente e sostenibilità e poi continuare a spostarci nello stesso modo. Anche se, entrare all’interno di un evento di tale portata, superare gli ostacoli messi dalla politica e dalla sicurezza, è stato un po’ come scalare una montagna impregnativa.

Cosa consigli a chi cerca ispirazione nelle tue imprese?

Prima di tutto, di crederci, Poi, gradualità nell’approccio. Affidarsi alla tecnologia, ricordando sempre come il rischio di farsi male dipenda prima di tutto da noi. D’altra parte, non farsi bloccare alla paure e cercare sempre di mettere un passo avanti al precedente. Non dobbiamo evere paura di alzarci dal divano e uscire dalla zona di comfort.


Pubblicato il 18/1/2022

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