L’alpinismo di Hervé Barmasse, una montagna di rispetto
Un amore genuino, quello di Hervé Barmasse per la montagna, dal Cervino all’Himalaya alla ricerca di avventura e solitudine
La vetta di una montagna è per definizione un traguardo tra i più importanti, uno di quelli oltre i quali non si può andare se non ricominciando da capo. In senso metaforico per molti, nel vero senso della parola invece per la ristretta cerchia degli alpinisti professionisti. Quelli in grado di aggiungere al successo personale la possibilità per chi li segue vivere delle avventure in modo decisamente più tranquillo.
Per i più appassionati, distinguendo anche in base al modo utilizzato per raggiungere la vetta. Da quello tradizionale, in genere più sicuro, a quello più orientato all’avventura, con conseguenti rischi. Tra questi ultimi rientra Hervé Barmasse uno dei maggiori esponenti dell’alpinismo moderno, inontrato in occasione dei recenti Garmin Beat Yesterday 2022, capace di trovare sempre nuove sfide e al tempo stesso dimostrare come si possa conciliare l’ambizione di salire in cima alla montagna con la difesa di un ecosistema sempre più in difficoltà.
Sei nato e cresciuto a Cervinia, una delle località più belle in assoluto quando si parla di montagna. L’alpinismo è stata una scelta scontata?
No. All’inizio mi sono dedicato allo sci alpino. Fino a sedici anni ero considerato una promessa nello slalom gigante e la discesa libera. Poi, dopo un grave incidente non c’era più l possibilità di competere a certi livelli così il mio punto di vista sulle montagne è cambiato.
In che senso?
Grazie anche a mio papà, ho scoperto una montagna diversa, non più da scendere ma da salire. Così ho iniziato ad appassionarmi e negli anni successivi è praticamente diventata la mia vita. Sono diventato guida alpina e per farlo bisogna essere alpinisti. Oggi, è anche un mestiere.
Come hai sfruttato questa opportunità?
Subito dopo è nato l’interesse a esplorare, a cercare qualcosa in più, come per esempio una salita invernale o una via nuova. Negli anni, è diventata la mia vita.
Cosa ti ha portato in questa direzione, certamente più gratificante ma anche più impegnativa?
Dal mio punto di vista, le montagne famose restano belle, ma ormai troppo inflazionate. Sento parlare molto di turismo e massificazione anche in ambienti considerati difficili. Quest’anno ci sono state centinaia di persone al giorno su vette considerate difficili come il K2. E la stessa cosa naturalmente succede sulle Alpi.
Come ti comporti, di conseguenza?
Considero l’alpinismo avventura e solitudine. Per forza di cose, in questo caso si scelgono altre strade. Quindi, montagne comunque belle, non necessariamente tra le più alte, in grado di offrire qualcosa di più come avventura. Credo sia anche il futuro dell’alpinismo, non solo il mio.
Devi comunque fare i conti con un’attività da professionista. Quindi, esigenze di visibilità per rispettare gli accordi con gli sponsor o impegni sul fronte della comunicazione. Come si conciliano con le esigenze di un alpinista?
Quando si diventa conosciuti, in effetti la popolarità ti porta anche via parte del tempo che vorresti dedicare a ciò che ami. D’altra parte, non ci si può tirare indietro e in ogni caso, ho imparato a ritagliarmi comunque qualche ora per tenermi allenato e mantenere la forma necessaria per quando vado in montagna. In fondo, la popolarità prima o poi passa, ma la passione resta.
Sei probabilmente uno degli alpinisti ad aver scalato più volte in assoluto il Cervino, e in tutti i modi possibili. Ne ricordi uno in particolare?
Due, direi. La prima più legata al risultato, è la via in solitaria aperta nel 2011. Un’impresa del genere in passato era riuscita solo a Walter Bonatti. L’altra invece è più sentimentale; una nuova via aperta insieme a mio papà quando lui aveva già 60 anni. Una via che lui aveva già tentato anni prima e nessuno era riuscito a completare. Qualcosa di molto particolare, è stata una grande emozione. Una dimostrazione di come si possano raggiungere ottimi risultati grazie alla volontà.
Cosa pensi dell’apporto della tecnologia in uno sport di avventura come il vostro?
Secondo me deve essere sfruttata per raggiungere risultati migliori di quelli già ottenuti. Nell’alpinismo però, oggi si va quasi controcorrente. Nel senso, tanti utilizzano i dispositivi elettronici e gli strumenti nuovi per fare le stesse scalate degli Anni ’50, e questa è proprio una delle ragioni del grande affollamento.
Come si potrebbe sfruttare meglio?
Secondo me, andrebbe utilizzata per realizzare progetti che prima non si poteva neppure immaginare fossero possibili. In questo caso, allora sì diventa un connubio ideale. Può rivelarsi uno strumento utile per progredire, alzare l’asticella rispettando la montagna.
Per quanto si vede troppo spesso sulle montagne, non sembra un pensiero molto diffuso…
Purtroppo, è così. Si vede anche da parte di tanti alpinisti, tutti gli anni impegnati lungo le stesse vie. Questo porta anche a poco rispetto per la montagna. Stiamo plastificando le montagne con le corde fisse, installate nuove tutti gli anni e poi lasciate lì. Se posso lanciare un appello, un alpinista sponsorizzato che dice di amare la montagna e rispettarla, non sale lungo una via normale.
Come si può aiutare a diffonderlo?
Le aziende dovrebbero avere la forza non solo di proporre le tecnologie migliori ai propri clienti, ma anche di schierarsi dalla parte della montagna. Per esempio, accettando nei propri team solo chi ha rispetto della montagna e della natura in generale. Persone con etica e valori importanti.
Qual è il prossimo obiettivo in programma?
Sono in partenza per l’Himalaya, in Nepal. Dopo una prima fase di acclimatamento, insieme al mio compagno di viaggio David Gottler decideremo quale vetta provare. La scelta è tra Annapurna e Dhaulagiri, o anche il vicino Nanga Parbat in Pakistan.
Dopo quanto abbiamo appena detto, immagino in stile alpino…
Esattamente. Cercheremo di salire e scendere con l’attrezzatura abitualmente usta sulle Alpi. Quindi, niente portatori, noi due da soli con dodici chili di zaino sulle spalle e dentro tutto quanto possa servire. In inverno una salita del genere non è ancora stata fatta. Un modo anche per dimostrare come invece di puntare il dito contro chi fa certe cose, sia possibile dare il buon esempio.
Pubblicato il 15/12/2022